Recensione: La villa (Speciale Venezia74)

Genere: Drammatico

Regia: Robert Guédiguian

Cast: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet, Anaïs Demoustier

Durata: 107 min.

Distribuzione: n.d.

Robert Guédiguian torna dietro la macchina da presa e lo fa con i luoghi, le tematiche e i volti a lui più cari per raccontare una piccola storia ambientata dalle parti di Marsiglia, in una amena località balneare sospesa tra sporgenze rocciose e Mediterraneo. Causa scatenante del plot un ictus che colpisce l’anziano capofamiglia, fattore traumatico che riunisce al capezzale del vecchia pater familias i figli, che si raggrumano nel sud della Francia, portando con loro storie, esperienze, sospesi, errori e riflessi del passato. La nuova opera di Guédiguian, cineasta francese che fa propria la lezione del realismo, colpisce il pubblico del Concorso Veneziano con un canovaccio semplice, lineare, sincero, commovente, diretto al cuore, con uno sguardo mai banale ed assolutamente personale. C’è Armand, gestore di un piccolo ristorante in loco, Joseph, operaio liquidato dall’azienda ed aspirante (?) scrittore, c’è Angèle, attrice di teatro conosciuta in tutto il mondo, a ridosso di una nuova tournée. Un mosaico famigliare a cui non mancano sensi di colpa mai sopiti, aspirazioni mai soddisfatte, macigni trasportati su spalle a volte troppo esili;  Guédiguain presenta un parterre di personaggi incompiuti che, per motivi dissimili tra loro, si trovano davanti a decisioni non più procrastinabili; come gestire il passato per poter dischiudere al meglio le pagine del futuro? L’universo dei sentimenti e delle riflessioni passano dal rapporto di Joseph con la molto più giovane Bérangère, dal mondo sospeso di Armand, affezionato ad una dimensione ormai anacronistica della propria attività, dall’insoddisfazione e dalla mestizia di Angèle per la perdita diversi anni prima della figlia Blanche. Un presente che va trattato con la valvola dell’emozione, con il registro caro al regista, che non dimentica scambi di battute a sfondo politico (le posizioni di sinistra militante di Joseph) e osa una autocitazione che ci porta al 1985 (con il film “Ki lo sa” in cui vediamo i tre protagonisti vivere la spensieratezza dei vent’anni) per trasporre attraverso la lente dei ricordi e dell’incoscienza giovanile un nuovo senso ed una nuova e più matura consapevolezza. Una consapevolezza che passa necessariamente, e non senza strappi laceranti, attraverso gli occhi di tre giovani profughi, vero contraltare di nuove dinamiche famigliari e di amore sincero verso l’Altro. Un’opera che sa emozionare nella sua naturalezza e in una genuinità che serve davvero al cinema di questi tempi. Da vedere

Voto: 4 su 5

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