Recensione: A proposito di Davis

Immagine

Genere: Drammatico

Regia: Joel Coen, Ethan Coen

Cast: Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman

Durata: 105 min.

Distribuzione: Lucky Red Distribuzione

 

Dopo una piccola parentesi con Il Grinta, i fratelli Coen tornano al cinema con il loro marchio di fabbrica. Con A proposito di Davis ci sono tutti gli ingredienti necessari dello stile “coeniano”: l’anti-eroe malinconico, in conflitto con la società americana, spensierato e con atteggiamenti singolari e simpatici. L’elemento che cambia è il contesto storico di riferimento: anziché nella Los Angeles degli anni ’90 (dove si sono narrate le gesta del più bizzarro personaggio della coppia “Il Drugo”), il film è ambientato nella New York degli anni ’60. Un periodo d’oro per l’America grazie alla ripresa economica che ha generato ricchezza e possibilità per i cittadini di vivere una vita dignitosa. Non per tutti. Nella Greenwich Village, quartiere situato nella zona residenziale occidentale di Manhattan, ci sono persone che vivono in condizioni disagiate, al limite della sopportazione. Tra questi c’è Llewyn Davis (Oscar Isaac), ragazzo di trent’anni che racimola qualche soldo per vivere grazie alla musica folk. Questo genere musicale, non ancora esploso in tutta la sua energia, è l’unico motivo per il protagonista per andare avanti, e, nonostante il successo sia ancora lontano, non demorde, pronto a tutto per poterlo raggiungere con ogni mezzo. La sua chitarra è l’unico strumento coerente, dal momento che tutto l’evento, che ripercorre un tratto fondamentale del cantante, si svolge in maniera illogica, confusa.  Se in un momento Llewyn si trova in un bar a suonare per alcune decine di persone, in un altro si trova diretto a Chicago per cercare di cambiare il suo status musicale e diventare uno dei chitarristi più importanti.

Come Jeffrey Lebowski, Davis vive nel presente e non è capace di programmare la sua vita, a differenza dei suoi amici che, in un modo o nell’altro, si trovano in una condizione di equilibrio. Il conflitto non è solo tra questi personaggi, in particolare con Jean, la fidanzata del suo amico Jim interpretata da Carey Mulligan, che è costretta a ospitarlo in casa. Lo scontro è soprattutto ambientale. Il protagonista è in una condizione di disagio, vicino alla claustrofobia, come si può notare da alcune inquadrature a campo medio che rappresentano gli stretti corridoi dei palazzi dove lui è solito soggiornare. Si sente braccato dalla società che lo costringe a conformarsi a certe regole. Tutto ciò è contrario alla sua mentalità da musicista, dove l’esprimersi attraverso il suono dello strumento è un modo per sentire la libertà. La bravura dei Coen sta appunto nel focalizzare anche le contraddizioni di Llewin, perché se da un lato la musica, che ci accompagna per tutta la durata del film, è un mezzo di liberazione, il fatto di non saper decidere da che parte andare lo condanna in una condizione di distacco perenne da tutto ciò che lo circonda. In tutto ciò il rapporto tra il suono, presentato con canzoni folk emozionanti, e immagine, reso con una fotografia azzeccata al periodo storico e con colori sbiaditi che sottolineano la valenza drammatica della storia, è presentato con grande sintonia e sincronia da parte dei registi di Non è un paese per vecchi.  Un ritorno in grande stile.

Voto: 4 su 5

Il trailer

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. 21 ha detto:

    Secondo me non è un buon film, perché è troppo autoreferenziale. È una combinazione del Grande Lebowski, di Fratello dove sei?, di A Serious Man e di Barton Fink. È fatto bene ed è divertente, ma non è originale.

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    1. Riccardo227 ha detto:

      Che ci siano dei riferimenti ai precedenti film dei Coen, non c’è dubbio. Arrivare a dire che non è un buon film lo trovo eccessivo. A me è piaciuta la commistione tra la musica folk e il clima malinconico invernale di New York. Un’associazione direi riuscita. Apprezzo tuttavia il tuo commento critico perché non sei il primo che non trovi originale quest’ultimo film. Continua a seguirci.

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