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Recensione: Tutti vogliono qualcosa

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Genere: Commedia

Regia:  Richard Linklater

Cast: Austin Amelio, Temple Baker, Will Brittain, Zoey Deutch, Ryan Guzman

Durata: 116 min.

Distribuzione: Notorious Pictures

 

 

 

Il tempo del liceo è finito. Ora arriva il bello, perché il college, chi più chi meno, rappresenta l’opportunità per ogni studenti di misurare la propria indipendenza e di provare esperienze mai vissute fino ad ora. Ed è quello che cercherà di fare Jake, la matricola che, con la sua decappottabile accompagnata da “My Sharona” dei The Knack, si dirige verso la libertà lasciandosi alle spalle la vita studentesca delle superiori. Non ci mette tanto ad ambientarsi alla frenetica routine universitaria. Non fa a tempo a sistemare la propria roba che già subito i suoi coinquilini, nonché compagni della squadra di baseball del campus, lo portano nel mondo dei grandi, dove sesso, alcool e divertimento sono le parole chiave che racchiudono lo stile di vita perfetto dello studente del college. Nessun freno. La competizione, sul campo e fuori dal campo,   è l’unica cosa che conta in quel momento, perché è proprio la sfida a rendere appagante ogni singolo istante dei protagonisti, in grado di spingersi oltre l’ostacolo con il piede completamente premuto sull’acceleratore. Chi si ferma, o rinuncia a tutto questo, è perduto, o, quantomeno, escluso dal gruppo. E questo, certamente, non giova né a lui, né alla squadra stessa, che si deve trovare unita e compatta per vincere il torneo nazionale.

Richard Linklater, il regista che ha stregato pubblico e critica con Boyhood, torna dietro la macchina da presa con Tutti vogliono qualcosa, un film che illustra in un modo assolutamente esilarante i frenetici e scottanti anni ’80. Di primo impatto l’impressione (anche con il trailer) è di trovarsi davanti a quelle storie di vita americana sul college che hanno dato voce alle sregolatezze (viste e riviste) degli studenti alle prese con circostanze imbarazzanti e paradossali. Invece Linklater mostra, con assoluta leggerezza e con una minuziosa ricerca di autenticità, le storie di questi ragazzi che si trovano nel limbo tra la vita liceale e il traguardo di quella adulta. Il mondo raccontato dal regista è certamente sfrenato, ma l’obiettivo è comunque di regalare veridicità a quel contesto fuori dal comune. Non ci sono scene bizzarre che risvegliano fiumi di risate dagli occhi. Si ride, certo, ma di situazioni che rappresentano l’ordinario, la cornice tipica della giornata universitaria oltre oceano. Si ride dei personaggi, delle loro diverse caratteristiche, delle azioni e delle sperimentazioni che compiono durante la storia, dall’approccio alle ragazze durante le serate nei bar, nelle discoteche, nei locali country o nei concerti punk, che in quel periodo era il genere musicale nel pieno della sua attività. C’è praticamente tutto, descritto nel minimo particolare anche grazie alle scelte dei costumi, in modo da rendere ciascun personaggio assolutamente inconfondibile e ben definito. Le ultime parole vanno al regista, che anche in questo film lascia un’impronta indelebile dal punto di vista formale-stilistico. Non solo la fotografia, piena di contrasti tra i colori, rende accesa ogni singola sequenza, ma è la regia e la sceneggiatura che saltano all’occhio. La dilatazione temporale, presente in Boyhood in maniera vistosa (vista la scelta di raccontare 12 anni di vita di un ragazzo in due ore di film), anche qui è presente in maniera lampante. Tutto il flusso narrativo si svolge in pochissimi giorni dall’arrivo di Jake al campus, mostrando giorno per giorno il suo punto di vista alle porte del primo anno di università. L’aspetto particolare che unisce questi due lavori è il racconto della quotidianità, lasciando da parte eventi particolarmente rilevanti che determineranno dei cambiamenti radicali nei personaggi. La linearità delle relazioni umane è al centro della politica di Richard Linklater, e Tutti vogliono qualcosa ne è l’esempio più fedele.

 

Voto: 3,5 su 5

Il trailer

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