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Recensione: Creed – Nato per combattere

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Genere: Drammatico

Regia:  Ryan Coogler

Cast: Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Tony Bellew

Durata: 132 min.

Distribuzione: Warner Bros.

 

 

 

Vi ricordate di Rocky Balboa, campione capace di vincere sul ring e nella vita? E di Apollo Creed, prima sfidante e poi grande amico dello stallone italiano, scomparso durante una gara di boxe contro il brutale  sfidante sovietico Ivan Drago? Senza raccontare in toto ogni episodio di Rocky, dalle prime immagini di Creed – Nato per combattere veniamo alla conoscenza di Adonis, ragazzino ribelle che si scopre essere figlio illegittimo di Apollo. Dopo che la moglie di Creed viene in sua conoscenza, il giovane viene trasferito nella lussuosa abitazione del campione. La sua vita cambia: ha un lavoro fisso in un’azienda di successo, una madre che lo adora. Ma non basta. La sua passione per il pugilato, così come il mito di suo padre, morto prima che lui nascesse, lo spinge a una radicale decisione: abbandonare tutto, la vita mondana di Los Angeles e le macchine di lusso, e trasferirsi a Philadelphia, e lì incontrerà Rocky, la leggenda della boxe che ha appeso i guantoni ai chiodi per gestire il ristorante Adrian’s, in ricordo di sua moglie.

Mai ci si poteva aspettare che Creed potesse rivitalizzare un’intera saga. In questo periodo tentativi di questo genere sono all’ordine del giorno. Alcuni falliscono, altri invece sorprendono, come questo. Il film diretto da Ryan Coogler è riuscito a trasmettere la stessa fisicità e intensità del primo Rocky, grazie a scelte di regia davvero accurate, dal lungo utilizzo del piano sequenza visibile in particolare modo nel primo match di Adonis, ai continui cambi di stile, da quello televisivo come se stesse riproponendo le vecchie battaglie dei colossi della boxe, a quello più strettamente cinematografico con un utilizzo dinamico e ritmato del montaggio. I colpi li vedi, li senti, e questo è certamente un “punto” a favore di questa pellicola che partiva nettamente in svantaggio, visto che davanti a se aveva l’ombra possente di una saga che ha lasciato il segno nella cinematografia contemporanea. Non ha sfigurato il film sul giovane ragazzo afroamericano interpretato da Micheal B. Jordan, il quale, come l’italoamericano Stallone, si trova a doversi difendere dalla propria condizione di emarginato e dal suo passato tanto intrigato quanto difficile da tenerselo alle spalle. Anche se il giovane viene comunque salvato dal proprio destino infelice, la paura di non essere come il padre e di fallire miseramente continua incessantemente a tormentarlo. Lo stesso Balboa, in uno degli allenamenti, sottolinea come il primo sfidante da combattere sul ring non è quello che si ha di fronte ma quello che si ha dentro di sé, e questo lui lo sa bene, visto quello che ha subito. Stallone – Balboa (due persone ormai fuse in un corpo solo) insegna a non arrendersi e a vivere accettando le ferite subite e le sconfitte. Se da un lato l’umanità e allo stesso tempo la forza che risiede ancora in Rocky lascia davvero il segno, dall’altro il film perde inesorabilmente per via di una storia già vista, troppo simile al primo capitolo dal punto di vista narrativo. Resta comunque un’ottima prova di stile, e un buon modo di tornare a rivivere quelle emozioni che il “vecchio” ci ha regalato.

Voto: 3,5 su 5

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