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Recensione: Silence

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Genere: drammatico, storico

Regista: Martin Scorsese

Interpreti: Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Yōsuke Kubozuka

Durata: 161 min

Fotografia: Rodrigo Prieto

Distribuzione: 01 Distribution

 

Silence, l’ultimo lungometraggio di Martin Scorsese, si colloca in un contesto anomalo all’interno della filmografia del regista newyorchese. Ispirato al romanzo storico Silenzio di Shūsaku Endō, il film di Scorsese racconta con misurata passione il martirio dei gesuiti in terra giapponese durante il XVI secolo, in cui una severa repressione del neonato culto venne attuata dallo shogunato Tokugawa in risposta ai tentativi di evangelizzazione che presero il via con le prime spedizioni ad opera di Francesco Saverio. Il conflitto culturale e religioso generato è il tema principale che il regista cerca di approfondire, attraverso una meticolosa analisi delle caratteristiche del cristianesimo formatosi all’interno della società giapponese, un esperimento mutuato dall’esperienza dell’autore del romanzo che, superando i limiti stessi della visione di Scorsese, che sceglie di seguire il punto di vista dei gesuiti, può offrire interessanti quesiti sulla natura dello spirito religioso. Scorsese si interroga su alcuni aspetti dello spirito religioso cattolico estremamente perniciosi. Pur sposando il punto di vista dei gesuiti protagonisti, il suo racconto riesce a superare l’afflato religiose per descrivere il fallimento di un incontro tra due dottrine, una religiosa e una politica, altrettanto fondamentaliste. I gesuiti non hanno compreso la società giapponese, i giapponesi cristiani non hanno compreso il cristianesimo così come gli è stato insegnato, ma ne hanno dato una loro personale interpretazione, che padre Ferreira illustra al suo vecchio allievo sconcertato per l’abiura del maestro.

Uno dei personaggi più interessanti è quello del convertito Kichijiro, che più volte tradisce padre Rodrigues durante il suo viaggio. Il suo dramma interiore, la sua dipendenze dal concetto di peccato e perdono attraverso la confessione rappresenta uno dei pericoli intuiti dai vertici dello shogunato nella diffusione delle credenze cristiane nel paese. La figura di Kichijiro, sorpassando il pietismo patetico con il quale viene rappresentata, è una delle prove tangibili di quel silenzio del divino a cui si accenna nel titolo.

La regia di Scorsese è in grado di costruire sequenze di grande fascino, come quella del martirio all’inizio del film, priva di musica, e nell’intero lungometraggio il regista depura gli eccessi visivi dei suoi precedenti lavori per puntare ad un’estetica essenziale, i cui unici guizzi sono l’assunzione di prospettive insolite per la macchina da presa che schiacciano il campo visivo o proiettano il movimento in profondità creando un cortocircuito visivo. I primi piani delle icone sacre usate nella singolare cerimonia di abiura del fumi-e rivelano un insperato punto di contatto tra due idee di sacro e di afflato religioso profondamente diverse. Entrambe legate ai simboli, e ai gesti. Ma il cristianesimo in questo caso si rivela più incerto sulla distanza possibile tra un gesto e la sua ripercussione sulla salvezza personale, sulla possibilità di essere perdonati e sul processo di dipendenza da questa logica che finisce per svuotare di significato la fede. Un vuoto, un silenzio nel quale perdere la propria fede, o per cambiarla?

Silence non riesce a colpire lo spettatore con un afflato immediato e tangibile. Tuttavia il suo valore è nello stimolare attraverso un apparente silenziamento stilistico una riflessione profonda sul concetto di fede, di confronto culturale e desiderio di aprirsi alla diversità, ad una cultura differente, anche accettando l’impossibilità di trovare un terreno comune. Sia il cattolicesimo che i vertici politici giapponesi in questo racconto falliscono. Non è possibile impiantare un concetto di fede e di universo in una cultura antropologicamente e geograficamente agli antipodi. Non è nemmeno possibile pretendere una abiura totale del proprio spirito religioso. Dunque fino a che punto può esistere un incontro?

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