Recensione: Kong – Skull Island

Genere: Azione

Regia: Jordan Vogt-Roberts

Cast: Tom Hiddleston, Samuel L. Jackson, John Goodman, Brie Larson, Tian Jing, John Ortiz, John C. Reilly

Durata: 118 min.

Distribuzione: Warner Bros.

 

 

 

1973. È l’anno in cui la guerra in Vietnam entra ufficialmente nei libri di storia. Richard Nixon decide di ritirare le truppe, determinando così la vittoria dell’asse filo-comunista e dei viet cong. Questa è la prima vera sconfitta sul fronte per gli americani, increduli che una forza, che fino a quel momento ha dominato ogni battaglia dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti, possa indietreggiare contro un piccolo, misero, impercettibile Stato. Due scienziati, sentendo la notizia, devono però fare presto, perché c’è il rischio che il loro lungo, prezioso progetto da proporre al Congresso degli Stati Uniti possa essere declinato e buttato nel cestino senza alcun finanziamento. Se davvero il Vietnam è ritenuto un microcosmo alla luce della potenza statunitense, ancora non hanno visto quest’isola, una terra ancora inesplorata e conquistata dall’uomo. Che cosa c’è oltre quegli scogli? Che cosa c’è oltre quelle nubi tempestose?

Kong – Skull Island è il secondo film da regista di Jordan Vogt-Roberts, che ha debuttato nei cinema con The Kings of Summer, presentato al Sundance Film Festival nel 2013. È sorprendente la scelta di una major di affidare un progetto così grande a un ragazzo con all’attivo un solo lungometraggio (per altro una commedia, un genere lontano a ciò che questo film affronta). La stessa sorpresa c’è l’hanno i protagonisti del film, dai soldati superstiti della Seconda Guerra Mondiale a quelli della generazione anni ’70, quando si trovano di fronte a lui, al vero re dell’isola: Kong. La decisione di dargli la regia è riuscita per quanto riguarda l’aspetto formale, grazie a un uso ponderato della macchina da presa e, soprattutto, al ritmo imposto nelle scene in cui il mostro compare con la sua fisicità. Questa pellicola contiene, inoltre, numerosi omaggi al cinema di guerra e di fantascienza.

Primo tra questi, Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Quello che è avvenuta è una riproposizione di un’altra trasposizione in chiave contemporanea (quella del regista de Il Padrino) di un testo cardine della letteratura, che è Occhi di Tenebra di Joseph Conrad, un cognome portato come un macigno da uno dei personaggi della storia, il capitano James Conrad, interpretato da Tom Hiddleston. Qui, oltre a un rimando per lo più estetico, con una fotografia che si avvicina ai colori saturi e accesi di Vittorio Storaro nel film di Coppola, c’è certamente un omaggio alla narrazione, con quelle inquadrature con gli elicotteri e la musica rock del tempo che si mischia con il roteare delle pale, ai campi lunghi del paesaggio inesplorato e apparentemente mite, fino a rosso che emerge dai freddi colori della foresta quando vengono sganciate quelle bombe a “uso scientifico” per scoprire la morfologia del territorio. Paradossalmente, c’è anche un incontro con il Kurtz del luogo, un uomo certamente folle ma non al punto da essere venerato come un Dio, perché di Dio c’è uno solo, Kong, inquadrato da Vogt-Roberts con il riflesso del fuoco sui suoi occhi minacciosi verso lo straniero. In realtà è semplicemente Marlow (John C. Reilly), come nel romanzo, con l’unica differenza che a incidere sulla sua permanenza sul luogo è stata la fatalità, non la ricerca di avorio.

Il messaggio è più o meno lo stesso, e riguarda una critica a un colonialismo che non lascia spazio a una preservazione della cultura altrui. Kong semplicemente non si ribella in quanto cattivo, ma attacca perché ritiene giusto conservare l’ordine e la natura circostante. Tuttavia a emergere è, soprattutto, una constatazione del concetto di potere, che per la maggior parte dei casi è collegata quello di forza. Chi ha la forza, ha dunque la capacità di governare, come il caso del grosso primate dell’isola. È lo scopo che determina quanto questa sia giusta ed efficace. Ed è qui il confronto tra il mostro e uno dei protagonisti della storia, distanti fisicamente e culturalmente proprio su questo concetto. L’unica pecca riguarda la psicologia dei protagonisti, lasciati in secondo piano e per nulla approfonditi sul piano narrativo. Ma di fronte allo spettacolo, agli omaggi riusciti, e alla ricchezza dell’immagine, si può anche chiudere un occhio.

 

Voto: 3 su 5

 

Il trailer:

 

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