TFF 31: qualità e cura del dettaglio

pelo maloQuattordici film in Concorso, ventiquattro lavori in “Festa mobile”, trentasei pellicole per la nuova sezione “New Hollywood”, documentari italiani, documentari stranieri, tanti corti, ma soprattutto un +35% degli incassi per la trentunesima edizione del Torino Film Festival (ex Festival Giovani). Dunque buona la prima per il neo direttore della manifestazione cisalpina, Paolo Virzì. Un festival che non ha deluso le aspettative, in costante tensione tra il nuovo che avanza e la riscoperta dei classici del cinema. Ad ospitare le proiezioni il Reposi, dove si è anche tenuta la premiazione, il Massimo ai piedi della Mole e il Lux. Code nel weekend davanti alle sale, code in settimana, code dal primo giorno sia per il biglietto singolo che per l’accredito. I prezzi abbordabili e la lontananza dai red carpet fanno del TFF un festival inteso nel vero senso della parola, una festa del cinema, ad anni luce dalle starlette delle Mostre più blasonate. La giuria di Torino31 (film in concorso ndr), composta da Guillermo Arriaga, Stephen Amidon, Aida Begić, Francesca Marciano e Jorge Perugorría ha dato la preferenza al lavoro del messicano Fernando Eimbcke, “Club Sàndwich”, storia di un ragazzo e della madre single che passano le vacanze in riva al mare fino a che a movimentare le giornate fatte di crema solare e complicità non arriva Jazmìn, coetanea del protagonista con la quale scatta subito l’attrazione. Il regista, insignito dell’importante riconoscimento non ha perso occasione per dilungarsi in complimenti sul festival piemontese, indicando Torino come “una città che respira cinema”, rendendo appieno il clima che da sempre caratterizza il TFF. Oltre a “Club Sàndwich” non sono mancate alcune piacevoli sorprese: “Le démantèlement” di Sebastien Pilote, pellicola canadese asciutta che tratta le vicende di Gaby, gestore di una fattoria a Montreal, e delle sue due figlie ha ottenuto il premio per la miglior interpretazione maschile (premio che è andato a Gabriel Arcand); la miglior interpretazione femminile è andata ad appannaggio di Samantha Castillo, protagonista del film “Pelo malo” di Mariana Rondòn e madre di Junior, ragazzino di nove anni ossessionato dalla zazzera etnica che tenta di lisciare in ogni modo. Pellicola che tratta di isolamento, di degrado, di solitudine e di insicurezza familiare. C’era poi molta attesa per l’opera prima di Pierfrancesco Diliberto (il Pif della tv ndr) che presentava il suo “La mafia uccide solo d’estate”, lavoro che non è piaciuto molto alla critica ma che ha ottenuto il premio del pubblico. In concorso anche “La bataille de Solférino”, film di carattere storico inserito nella top10 dei migliori lavori del 2013 secondo la prestigiosa rivista “Cahiers du cinema”; la pellicola “2 automnes 3 hivers” di Sebastien Betbeder, narrante le vicende di due trentenni che si rincorrono e poi si lasciano in modo scanzonato e malinconico ha ottenuto il Premio speciale della Giuria. In concorso anche “Blue ruin”, revenge movie serrato, molto convincente nella prima parte, meno nella seconda ma con una caratterizzazione dei topoi tipici del genere davvero interessante dal direttore della fotografia (ora regista) Jeremy Saulnier. Ma gli avventori del TFF potevano godere di tanti altre chicche: il gioiellino indiano “Lunchbox”, presentato a Cannes, è stato inserito nella sezione TorinoFilmLab, “Inside Llewyn Davis” dei fratelli Cohen era visionabile nella sezione “Festa Mobile”, poi “Salvo” di Grassadonia e Piazza, “Last Vegas” di Jon Turteltaub, “Grand Piano” di Eugenio Mira (questi ultimi due rispettivamente il film di apertura e il film di chiusura della rassegna) e ancora, come anticipato ad inizio articolo, la categoria “New Hollywood” che da anni era in programma ma che mai aveva visto la luce: oltre trenta lavori restaurati (dal 1962 al 1975) tra i quali spiccano “Easy rider”, “Vanishing point”, “Bonnie & Clyde”, “Cinque pezzi facili”, “Un uomo da marciapiede”, “L’uomo che fuggì dal futuro”. Sicuramente un evento che, aldilà dei soliti accostamenti forzati con il Festival di Roma, vive di luce propria e che, nonostante gli investimenti non faraonici, riesce a portare nel capoluogo piemontese lavori di qualità, senza dimenticare il pubblico sempre molto esigente ed attento ai dettagli. Una gestione “virziana” che parte sotto i migliori auspici.

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