I migliori film del 2016 (by Mattia)

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Come di consueto, vorrei anteporre alla top 10 dell’anno appena terminato, il 2016, qualche premessa per poter meglio comprendere le scelte effettuate nel redigerla.

Per poter stilare la “classifica” dei migliori lavori dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016, si è tenuto conto della data di uscita italiana e non della eventuale data di uscita nel paese di origine: ad esempio il titolo “Manchester by the sea” di Kenneth Lonergan, uscito a novembre 2016 nel Paese di origine, ma non ancora distribuito in Italia, esula da un eventuale inserimento nell’elenco.
Non si è tenuto conto dei titoli presentati ai principali festival italiani (Torino, Roma, Venezia) se ancora non sono stati distribuiti in tutte le sale italiche: ad esempio “Wir sind die flut” di Sebastian Hilger, presentato a Torino34, non rientra nella classifica perché non (ancora) uscito nelle sale italiane. La top 10 sconta il limite (umano) della visione nelle sale: in altri termini chi ha stilato la classifica ha potuto valutare un certo numero di titoli e non tutto lo scibile cinematografico dell’anno 2016. Alla luce di questo limite, si è voluta introdurre una sezione in fondo alla top 10 indicando quei lavori che pur avendo colpito positivamente (attraverso critiche e recensioni) il redattore della classifica, costui non ha potuto (ancora) verificare di persona l’effettiva eccezionalità del prodotto visionandolo direttamente. Non sono presenti, sulla scorta delle valutazioni esposte sino a qui, i prodotti che hanno avuto una distribuzione limitata alle pay-tv o portali internet in abbonamento (“Tallulah”, film originale Netflix, proposto sulla piattaforma e mai nelle sale, non può essere inserito eventualmente in elenco). Il mondo della Settima Arte è però in divenire e forse, in futuro, dovremo rivedere, giocoforza, i parametri.
Infine la ormai consolidata mini-sezione con la sorpresa dell’anno, ossia il film di qualità che non ti saresti aspettato di vedere ed il flop dell’anno, ossia il titolo che le premesse davano come un capolavoro annunciato ma che poi nella realtà ha lasciato un filo di amarezza una volta usciti dalla sala.
IMPORTANTE: i titoli sono 10 ma non sono da leggersi in ordine qualitativo quanto invece in ordine cronologico. Lo scrivente non ha mai amato dilettarsi in discorsi sofistici su quanto un film fosse migliore dell’altro o di quanto il secondo fosse meglio del quarto per questo o quel motivo. La top 10 è dunque da leggersi come un unicum di lavori (i migliori) usciti nel 2016.

Partiamo…

  • Little sister (Giappone): quando il giapponese Kore-Eda si mette dietro la macchina da presa riesce sempre a fare un gran rumore con la sua innata ed elegante leggerezza. “Little sister” è una pellicola che entra nelle dinamiche familiari e femminili in punta di piedi, con saggezza, mostrandoci come un evento traumatico come la morte di un padre possa avvicinare mondi ed idee diverse, anteponendo il bene comune e la pietas a vecchie ruggini e distanze interpersonali dettate da pregiudizi e stereotipi.
  • The revenant (USA/Messico): sarà ricordato dai posteri come il lavoro che ha consegnato finalmente l’ambìta statuetta al grande Leonardo Di Caprio ma Il redivivo di Iñarritu è esperienza visiva e sensoriale, un’immersione anima e corpo cinematografico nelle foreste di conifere e nelle acque gelide dei nativi d’America e dell’epoca delle conquiste. L’ennesimo eccezionale lavoro dal regista che ci regalato Amores perros, Babel e Birdman.
  • Il club (Cile): un livido, impietoso e duro ritratto di una casa sulla costa cilena nella quale una suora e quattro preti sconsacrati scontano la loro pena per le violenze e gli abusi perpetrati negli anni precedenti su donne e bambini. Il lavoro del sempre sorprendente Pablo Larraìn (già autore di No, i giorni dell’arcobaleno e Post Mortem) è acuminato e tagliente; non fa sconti e rappresenta sicuramente un titolo di sicuro affidamento, una pellicola da vedere tutta d’un fiato e senza ripensamenti.
  • The lesson (Bulgaria): quando meno te l’aspetti, da un paese in cui nemmeno credi possa esistere una cinematografia, la Bulgaria, ecco che ti giunge la perla, che ti prende in contropiede e, piacevolmente, ti sorprende. Storia di Nadya, insegnante di inglese di sani e ferrei principi morali che, improvvisamente vede sgretolarsi il terrapieno che dà senso alla sua vita, costringendola ad attraversare una parabola che funge da vera e propria lezione di vita, per sé e per gli spettatori. Una nota cinematografica autorevole, candidata anche come Miglior Film dell’Unione Europea al Premio Lux.
  • Il condominio dei cuori infranti (Francia): in Francia le commedie le sanno fare. Ecco, questa non è la solita commedia francese, forse, anzi, sicuramente non è nemmeno una commedia, nonostante il lancio pubblicitario facesse intendere ameni scenari romantici e scontate liaison tra vicini di casa. Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit (tratto dalle Cronache dell’asfalto dello stesso autore) picchia duro senza pietà su temi di basilare importanza: l’altruismo, l’immedesimazione, i meccanismi sociali, la solitudine, la dignità. Un’anti-commedia che fa lungamente riflettere sulla società contemporanea, sui suoi agghiaccianti risvolti facendo balenare qualche sorriso amaro, a volte agrodolce.
  • Tangerine (Georgia): il cinema sa arrivare senza fare rumore e spiazzarti con un piccolo capolavoro. Mentre imperversa la guerra in Abcasia (guerra cruenta scenario di eventi indicibili ma poco conosciuta almeno nel nostro Paese) in una piccola enclave di campagna sono rimasti due estoni con il loro frutteto di mandarini. Fino a che la guerra porta sull’uscio di casa un mercenario ceceno ed un georgiano, entrambi feriti. Il protagonista se ne prenderà cura facendosi promettere dai due rispetto e non violenza entro le mura domestiche. Un film piccolo e sorprendente portato in Italia (ed in lingua originale sottotitolato in italiano) dalla PFA di Roma e quasi introvabile nelle sale. Una gemma di eccezionale bellezza.
  • Io, Daniel Blake (Gran Bretagna): e quando il signor Ken Loach entra a piedi giunti raccontando gli ultimi come soltanto lui sa fare, non c’è partita. La pellicola che trionfa a Cannes è quel cinema in pieno stile impegno sociale come pochi sanno autenticamente fare. La storia di Daniel Blake, alla soglia dei sessanta, reduce da un infarto e perso nei rivoli della burocrazia fa tenerezza e rabbia allo stesso tempo, commuovendo con una regia asciutta ed una sceneggiatura semplice, come quei film che hanno una forza sufficiente per giungere al punto senza trucchi e senza ritocchi. Magistrali gli attori, attualissimo il tema. Irrinunciabile.
  • Agnus Dei (Francia): Anne Fontaine è una di quelle poche registe che riescono in meno di due anni a passare da Gemma Bovery, commedia senza pretese con cast internazionale a un lavoro raffinato, sfaccettato, trattato con maturità eccellente. Il tema, la vera storia del convento di monache polacche che durante la guerra subirono violenze e stupri da parte dei soldati russi accampati entro le mura, è senza dubbio arduo. La Fontaine si muove su piani di flashback e lieve disvelamento delle dinamiche filmiche, con continuo intersecarsi di percorsi di fede e convinto ateismo della dottoressa che aiutò a partorire le monache. Una vera rivelazione.
  • Animali notturni (USA): di Tom Ford se ne sentì parlare per un notevole e degno lavoro con Colin Firth, qualche anno fa. Quest’anno torna, presentandosi a Venezia, con una pellicola raggelante, un thriller sospeso tra carta stampata e realtà, la storia di una gallerista e del suo ex divenuto scrittore che le dedica il di lui nuovo romanzo, portando lei e gli spettatori in un vortice buio fatto di spaventosi retroscena, frasi non dette e fatti forse soltanto immaginati. Eccezionali le interpretazioni di Amy Adams e di Jake Gyllenhaal, che ormai ha raggiunto una maturità artistica fuori dal comune.
  • Il cittadino illustre (Argentina): un Oscar Martinez di straordinaria bravura dischiude le porte per una commedia abrasiva proveniente dall’Argentina che mette alla berlina tante convinzioni e tanti luoghi comuni sul successo, sulle origini e sulla famiglia. Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura e morto artisticamente, torna nella terra che gli diede i natali, ma l’accoglienza non è proprio delle migliori. In tanti suoi romanzi alcuni personaggi della patria natia sono stati messi sotto una cattiva luce, inimicandosi più di un concittadino. Perennemente sospeso tra black-comedy e humor sagace rappresenta probabilmente la miglior commedia dell’anno, senza temere confronti.

Non visti ma…

  • Neruda: un ritratto intrigante ed astuto del poeta cileno con una eccellente coppia d’attori;
  • E’ solo la fine del mondo: l’enfant prodige del cinema mondiale, Xavier Dolan, torna nelle sale con l’opera della maturità e lo fa con un grande cast, da Cassel alla Cotillard.
  • Un padre, una figlia: Cristian Mungiu lavora per stupire. Non fa eccezione il suo ultimo lavoro che guarda alla paternità.

Sorpresa del 2016: Lo chiamavano Jeeg Robot (Italia)
Non è il mio genere, dicevo. Non mi sono mai interessato ai film di superpoteri, mi ripetevo. Ma, per fortuna, sono andato oltre le apparenze. Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, per uno strano scherzo del destino, si trova dall’oggi al domani, con una forza sovraumana. Questo, da buon furfante qual è, non lo induce a fare del bene ma a sfruttare i poteri per la sua carriera criminale. Un esordio folgorante al lungometraggio di Gabriele Mainetti con un villain che non si vedeva da moltissimo tempo così caratterizzato e unico nel suo genere, lo Zingaro, alias Luca Marinelli @nonsonounasignora

Delusione del 2016: The hateful eight (USA)
Un’attesa indicibile. Una spedizione in Cineteca per poter godere della versione 70mm e dell’ouverture di Ennio Morricone. Una dedizione lodevole ed un amore, quello per Tarantino, mai in discussione. Ma l’ottavo lungo di Quintino non convince e non mantiene le promesse. Il cast, la location e il microcosmo tarantiniano sono poca cosa questa volta; The hateful eight non è migliore dei precedenti lavori ed anzi, si situa al di sotto, trascinandosi per almeno un tempo. Non bastano le interpretazioni e le musiche per farne il capolavoro di cui si parlava. Peccato.

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