Il falso cinefilo: Twin Peaks


Sto per dire una blasfemia che si sentirà in ogni angolo della rete. Non ho mai visto Twin Peaks. O meglio, fino ad ora. Purtroppo, a causa dell’età e della crescita di questa passione per l’audiovisivo dopo molto, molto tempo, mi è molto difficile recuperare anni e anni di storia del cinema, ma la pazienza, fortunatamente, non manca, e piano piano sto cercando di ridurre questo gap culturale immenso, tanto che ancora non riesco a intravederne una soluzione e una fine. “Non hai davvero visto Twin Peaks?!?!? Vergogna!!!! E vuoi davvero essere un cinefilo?!?!?” È vero, mi prendo tutti gli insulti possibili. Me li merito tutti, dal primo all’ultimo. Ma non è mai troppo tardi. “No, ca**o, non hai scuse. È solo perché ora è uscita la terza stagione che hai iniziato a seguire il filone degli appassionati alla serie di David Lynch! Non parlare di cose che non conosci!”. È vero anche questo, come dal titolo di questo post. Sono falso, ignorante, analfabeta cinematografico allo stato puro. A mia discolpa, ammetto di avere delle lacune, ma al contrario di molti, sto cercando di colmare a queste carenze vergognose scoprendo tutta la filmografia di Lynch, partendo dall’inizio. Dal suo primo folle film Eraserhead, al malinconico e geniale The Elephant Man, al costosissimo e ignobilmente martoriato film fantascientifico Dune, fino agli intrecci di vita di Strade Perdute e Mulholland Drive, e, per ultimo, il formato seriale di Twin Peaks, che dopo le due stagioni ha avuto anche una sua versione cinematografica in Fuoco cammina con me.

Lasciamo stare i film, che meriterebbero un discoro a parte. Arriviamo al punto. Com’è la serie TV? Merita la visione, soprattutto dopo le esaltazioni di molti, e le condanne di altri? La mia è un’opinione da profano, quindi va presa con le pinze. Anzi, per difendermi dal linciaggio, vi dico già subito di non fidarvi delle mie parole, perché sono fallaci e privi di fondamento. Come del resto è la sensazione che si prova nell’assistere a questo spettacolo, con i suoi teli in tinta rosso fuoco che affiorano in alcune immagini della serie. La prima cosa che balza all’occhio di un ignorante come me è il formato. Abituati al 1080p degli odierni televisori (alcuni già al 4K, ma non è il caso di chi scrive), guardare una serie nel classico 4/3 è qualcosa che l’occhio all’inizio non riesce ad abituarsi. L’impressione è di trovarsi di fronte a una fotografia, con le righe nere ai lati che, nonostante inizialmente non fossero presenti negli anni 90 visti gli apparecchi del tempo, in questo caso restringe la visione e costringe a focalizzarsi lì, in quello spazio, in un compromesso che si fa fatica a mantenere dopo anni passati a guardare pellicole e racconti seriali che riempiono lo schermo avvolgendo ogni singolo pixel di un colore particolare. Il nero spesso rimanda al passato, al ricordo di qualcosa che è successo e che, in alcune circostanze, conviene dimenticare visti i suoi tragici epiloghi. Ma è difficile cancellare ciò che si è visto in queste due stagioni, perché Lynch riesce a stabilire uno stretto contatto con le vite degli abitanti di Twin Peaks (microcosmo) e gli eventi che ruotano intorno a quei luoghi (macrocosmo).
Inizialmente la serie sembra avere un tocco simile al thriller, con gli investigatori, lo sceriffo Henry Truman e l’agente speciale dell’FBI Dale Cooper, che cercano di indagare sulla morte improvvisa di una giovane studentessa del liceo, Laura Palmer. Il sorriso dolce di quella foto che spesso compare nella storia e che si riferisce al ballo di fine anno, nasconde invece qualcosa di oscuro e inquietante, qualcosa che riguarda la sua vita nascosta agli occhi dei suoi cari e dello spettatore nelle battute iniziali del racconto. La stessa città, un paese di provincia di 51 mila abitanti, rispecchia quello che è lo stereotipo del tipico ambiente tranquillo, protetta dalle immense montagne vista la sua vicinanza con il Canada, e fuori dalla frenetica e immensa metropoli americana. Lynch in effetti gioca con le categorie predefinite, non solo quelle stilistiche, come la soap opera che ci ha regalato epopee narrative come Dallas e Beautiful (God bless America, si scherza, ovviamente) e con la quale il regista statunitense costruisce personaggi e situazioni surreali, scherzosi, e onirici, ma soprattutto quelle sociali che vede per l’appunto i paesi di provincia come quelli che rappresentano l’ideale di vita perfetta e idilliaca, dove nessuno, e dico nessuno, si sogna minimamente di commettere crimini. Davvero siete sorpresi della donna col ceppo, quando vi lasciate travolgere da intrecci incestuosi di personaggi delle fiction che da anni accompagnano i palinsesti televisivi?

È proprio da questi contrasti che si insinua il vero valore di Twin Peaks, che si sofferma sulla corrosione dell’animo umano che non è mai puro e buono come spesso ci lasciamo convincere. Anche la persona gentile e generosa nasconde qualcosa di corrotto, di oscuro e che pochissimi riescono a scorgere. La nostra mente ha difficoltà a comprenderla, pensando invece che le ovvietà e la superficie rappresentano la verità, e dimenticandosi dell’imperfettibilità dell’uomo, che ricopre diversi ruoli a seconda dell’ambiente sociale di riferimento. Questo compare tanto nella serie quanto nel film Fuoco Cammina con me, il prequel di Twin Peaks che rivela qualche particolare in più del racconto e mostrando la vita turbolenta di Laura Palmer prima di quel tragico evento.

E ora, abbandoniamoci a questa terza stagione…

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