Recensione: Wonder Woman

Genere: Azione

Regia: Patty Jenkins

Cast: Gal Gadot, Chris Pine, Connie Nielsen, Robin Wright, Danny Huston, David Thewlis, Saïd Taghmaoui

Durata: 141 min.

Distribuzione: Warner Bros.

 

La nascita del mito originale, così come la sua apparizione nel mondo reale, parte da un’origine molto remota. Ai tempi dei racconti dell’antica Grecia, Zeus ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, con la sola eccezione dell’immortalità. Ma, come spesso le grandi religioni specificano negli scritti o nelle leggende, l’essere umano è fallace, è imperfetto, e, come tale, commette errori insanabili. Nella cristianità è la mela dell’Eden a scaturire la fine della pace dell’uomo, mentre nel politeismo ellenico sono i molteplici Dèi che, scontrandosi, mettono a serio rischio la sorte di quelli che vivono sotto l’Olimpo, a causa della furia di Ares che si mette di traverso a Zeus e immettendo nella mente dell’umanità ogni genere di vizio, corrompendoli nell’animo. Ed è qui che si inseriscono, nella storia targata DC comics, le amazzoni, donne dalla incredibile forza non solo fisica ma anche morale che intervengono quando l’equilibro è compromesso. Diana è invece una giovane ragazza che vuole crescere come loro, ma essendo principessa ed erede al trono, la madre cerca di tenerla il più possibile lontana dal contesto bellicoso che l’esercito amazzone è solita tenere anche in una situazioni di calma apparente, ma la giovane non ci sta. Allenamenti costanti sono al centro dell’addestramento che la ragazza, infine, deve conseguire per diventare la più potente eroina dell’isola, che ad un certo punto viene improvvisamente invasa da delle flotte a loro ignote, navi moderne e aeroplani provenienti dall’Europa e che implicano che quel periodo di tranquillità è ormai spezzato.

Wonder Woman segna per la prima volta la regia di un cinecomic a una regista, Patty Jenkins, conosciuta per aver imbruttito una giovane attrice, Charlize Theron, nel film Monster, che valse all’interprete l’Oscar alla migliore attrice. Qui più che essere davanti a un “mostro”, ci si trova innanzi a una donna attraente, temibile, catapultata in un mondo incredibilmente opposto a quello in cui lei ha vissuto, dove la condizione femminile del tempo (il riferimento è alla Prima Guerra Mondiale, con i primi movimenti femministi che successivamente ottengono, con la lotta, i diritti politici) è ridotta ai margini della società. Sistemi di valori differenti, dove la prima vede la donna al centro della politica intesa come gestione del potere della comunità, mentre nel  secondo caso avviene la sua completa esclusione. Mai si era vista l’interruzione di un incontro ai vertici di una donna che assisteva (indifferente) alle parole dei rappresentanti del Governo e dell’Esercito, e l’eccezzionalità di quella situazione è altrettanto sorprendente per l’uomo, che ha in mente la donna nella tipica mansione domestica, quanto per la giovane Diana, che le sembra assolutamente normale e tipica della consuetudine del suo popolo intervenire su quelle questioni. La regista gioca con abilità su questa disparità culturale, e a volte con il sarcasmo, con alcune sequenze surreali e divertenti (la più riuscita quella in cui la protagonista cerca, con un po’ di difficoltà, di uscire dal negozio vestita con indumenti negli anni ’10 ma con in mano l’antica spada amazzone e lo scudo, indispensabili in una città come Londra, lontana dal conflitto e dal fronte).

I problemi principali trovati in numerosi cinecomic Marvel e DC si rispecchiano anche all’interno di questo film, che, in nome dell’intrattenimento, omette numerosi elementi narrativi necessari alla comprensione della storia. Manca un approfondimento dei personaggi, a partire dalla stessa Diana e dalla dinastia di appartenenza. La prima parte del film, infatti, serve al solo scopo di contestualizzare il racconto, senza tuttavia specificare, in maniera completa ed esaustiva, le origini delle amazzoni e, infine, i fattori che rendono possibile l’apertura del loro mondo con quello umano. Il villain della storia, Ares, rappresenta non solo il personaggio secondario dell’intera narrazione, ma diviene il solo elemento di crescita interna di Wonder Woman, una spalla che appoggia la sostanziale presa di coscienza della sua reale posizione nell’universo, vista la sola comparsa nelle ultime sequenze del film. Gal Godot, nonostante queste pecche descrittive tipiche del genere e la fastidiosa retorica finale, riesce comunque a tenere in piedi l’intera storia grazie al suo carisma, rappresentando un ottimo connubio di forza e sensualità.

Voto: 3 su 5

Il Trailer

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