Recensione: Tallulah

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Genere: Drammatico

Regia: Sian Heder

Cast: Ellen Page, Allison Janney, Tammy Blanchard, Fredric Lehne, Evan Jonigkeit

Durata: 111 min.

Distribuzione: Netflix

 

 

 

Tallulah non ha dimora. Dorme in un furgone assieme al fidanzato Nico, vivendo solo con lo stretto necessario. Una vita spartana, nomade, indipendente, lontano dagli standard che la società odierna è in grado di offrire. Un giorno però qualcosa cambia: Nico decide di andarsene, lasciando “Lu” da sola senza alcun preavviso, “un arrivederci” come la stessa protagonista afferma. Non ha nessuno, e decide di tornare a New York dalla madre del ragazzo, Margo, che però la rifiuta. In un hotel di lusso incontra invece Carolyn, una donna benestante che la scambia per una cameriera dell’albergo. In procinto di uscire per una serata galante con un uomo, senza pensarci due volte affida a Tallulah la sua bambina Madison per una notte, ignorando le possibili conseguenze. La ragazza, vedendo le condizioni della donna e della piccola, decide di portarla via da quella stanza, tornando da Margo e fingendo che quella bimba sia in realtà sua figlia.

tallulah

Tallulah è l’opera prima di Sian Heder, sceneggiatrice della serie Orange is a New Black con un passato di cortometraggi come Mother e Dog Eat Dog. La condizione femminile, che sia dentro o fuori le mura di un carcere, sembra essere un po’ il filo conduttore che accomuna entrambi i lavori di questa autrice, che in questo film mostra la vita di tre donne che hanno qualcosa di interessante da raccontare. C’è un elemento che, per quanto paradossale sia, accomuna questi tre personaggi. Entrambe sono oppresse da qualcosa di più grande di loro, che necessita una decisa presa di posizione e, soprattutto, un forte senso di responsabilità. Tallulah, interpretata da Ellen Page, per quanto indipendente possa essere, dopo l’abbandono di Nico non si sentiva più libera. La bambina, così come l’incontro con Margo, sono state le fasi in cui la ragazza ha preso davvero coscienza delle proprie potenzialità, visto che, oltre ad aver trovato una vera famiglia, solo ora comprende di avere un ruolo concreto nella società. Lo stesso vale per il personaggio impersonato da Allison Janney, alle prese con un divorzio che manca solo l’ufficialità sulla carta. Lei continua a non accettare la scelta del marito, a chiudersi nel suo appartamento nonostante i suoi libri denuncino la supremazia dell’uomo sul matrimonio come il movimento femminista sostiene da molti anni. Solo dopo l’arrivo di Lu e della bambina, quel blocco interiore inizia lentamente a cedere, lasciando alle spalle il suo passato turbolento. Carolyn (Tammy Blanchard), dopo il rapimento di Madison, dallo stato di completa indifferenza, disperazione e pentimento, inizia a percepire il senso di maternità che prima, con l’alcool o semplicemente per mancanza di figure portanti nella sua vita, è stata repressa. Entrambe queste donne si accomunano al concetto di maternità, che non sempre porta a scelte cristalline prive di conseguenze, ma che, al contrario, è necessario sempre un supporto esterno in grado di guidarle verso la giusta strada. Il bello di questo film è che non c’è nessun giudizio affrettato, superficiale su queste scelte, benché uno possa prendere posizione su una o l’altra parte. Entrambe non sono senza colpa. Chi più, chi meno, non sono riuscite a essere oneste con se stesse, e gli effetti, prima o poi, possono ritorcersi contro quanto meno se lo aspettano. Per questa ragione, Tallulah è un film da non lasciarsi scappare, non solo per le interpretazioni dei protagonisti, ma per il messaggio di fondo che non può che far riflettere e commuovere.

Voto: 4 su 5

Il trailer

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