Recensione: Mine

mine

Genere: Thriller

Regia:  Fabio Guaglione, Fabio Resinaro

Cast: Armie Hammer, Annabelle Wallis, Tom Cullen, Juliet Aubrey, Geoff Bell

Durata: 106 min.

Distribuzione: Eagle Pictures

 

 

Mike e Tommy sono alle prese di una missione altamente rischiosa. I due soldati sono appostati da ore per trovare e uccidere un terrorista che da tempo l’esercito degli Stati Uniti sta monitorando. Anziché trovarsi davanti a un incontro d’affari criminale, quello che vedono è in realtà un matrimonio tra civili, e i dubbi su colpire o meno il sospettato annebbiano la mente del cecchino. La missione fallisce, e per di più vengono scoperti. Inseguiti dagli avversari, i marines si imbattono all’improvviso in una violenta tempesta di sabbia. Non hanno nessun orientamento, forse un’unica soluzione: un villaggio che dista un’ora di cammino e che può trarli in salvo da quel deserto (in)contaminato. Nel lungo viaggio ben presto scopriranno di camminare su un campo minato, e Tommy, credendo che il cartello trovato fosse solo un falso avvertimento in grado di incutere paura, è il primo a provarlo sulla propria pelle. Mike, nel tentativo di salvarlo, è la seconda vittima del “mostro” dai colli infiniti: calpesta la mina, ma cerca in tutti i modi di non muovere la gamba sinistra, perché sa che, al primo passo falso, farebbe la fine del suo compagno.

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Mine, il film dei registi italiani Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, è la conferma che il cinema di genere è possibile. Lo ha dimostrato Gabriele Mainetti con Lo Chiamavano Jeeg Robot, Stefano Sollima con Suburra, Matteo Rovere con Veloce come il vento. E ora anche questi due autori sono riusciti a creare una pellicola originale, mai banale e con una contaminazione di diversi stili cinematografici. Non è solo la guerra a essere al centro di Mine. C’è il thriller (la tensione all’inizio del film durante la perlustrazione dei protagonisti), la commedia (con alcune scene davvero esilaranti quando il povero Mike si trova davanti al Berbero, un uomo di colore che si sbeffeggia della condizione del soldato), ma non mancano scene di  forte introspezione sul protagonista, che è costretto a fare i conti non solo con il presente, che riguarda la scelta se muovere o meno la gamba per  continuare a vivere, ma anche con il passato, a quei passi che lui stesso non ha mai compiuto, o alla relazione complicata con Jenny, la sua ragazza. Tutti questi aspetti emergono gradualmente in quelle 54 ore passate a combattere nel limbo tra la vita e la morte. Le sue paure assumono le sembianze più disparate, dalle immagini di persone che lo hanno segnato, come il rapporto con il padre, a quelle di lupi affamati, che lo attaccano al buio, senza che lui riesca ad avere dei riferimenti netti sulla loro provenienza. Quelle bestie lo colpiscono nei momenti di debolezza, appena la sua concentrazione e determinazione vengono messi a dura prova. Ma tutto ciò gli serve a comprendere, come lo stesso Berbero afferma, che anche il passo falso può portare verso la giusta strada. Il film quindi subisce degli enormi cambiamenti stilistici, da una fase estremamente realistica, dove il “mostro” rappresenta prima il nemico da affrontare, a una metafisica, nella quale la stessa entità  assume prima le sembianze del deserto, e poi, nella parte più critica, impersonifica i fantasmi del passato. L’interpretazione di Armie Hammer  è davvero impressionante, grazie anche a una regia che riesce a mantenere la tensione fino alla fine senza alcun calo di ritmo, attraverso l’uso di campi lunghi che raffigurano la solitudine del personaggio di fronte all’immensità e alla forza del deserto, ai primi piani che si soffermano sui tormenti di Mike evidenziando ogni dettaglio, dai lividi e le ferite sul piede attaccato alla mina al volto disidratato e sofferente del soldato. Mine è una bellissima sorpresa, che sottilinea come sia possibile realizzare una storia innovativa in un film di altissimo livello tecnico.

 

 

Voto: 3,5 su 5

 

Il trailer

 

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