Recensione: La mia vita da Zucchina

la-mia-vita-da-zucchinaGenere: Animazione

Regia: Claude Barras

Cast: Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Paulin Jaccoud, Michel Vuillermoz, Raul Ribera

Durata: 70 min.

Distribuzione: Teodora Film

 

 

 

Zucchina è un ragazzino introverso e creativo. Non ha un sano rapporto con la madre, alcolizzata e  perennemente attaccata alla televisione. Con il suo aquilone (sul quale ha disegnato la figura paterna), e con le lattine di birra buttate per terra, il protagonista cerca di creare un mondo il più possibile distante da quello reale, che fino a quel momento è stato ingeneroso e crudele nei suoi confronti. Come se non bastasse, il ragazzo dai contorni bluastri viene messo in una casa famiglia, in attesa che qualcuno possa realmente prendersi cura di lui e promettergli di vivere quel poco che gli manca dell’età infantile. Lì trova altri bambini con le sue stesse condizioni. C’è chi si trova ad avere un padre che lo maltrattava,  dei genitori alcolizzati o sotto effetto di droga, o, nel caso estremo, si trova ad aver assistito alla violenza e alla morte della propria famiglia. Nonostante ciò, i piccoli grandi uomini non smettono di cercare il lato positivo, grazie ai loro tutori che li proteggono da ciò che c’è fuori, garantendogli momenti di svago e alcuni piaceri quotidiani.

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In La mia vita da Zucchina Claude Barras compie qualcosa di straordinario. Sin dalle prime sequenze siamo di fronte a una storia che inganna le forme plastiche e gommose dell’ambientazione. Non è la vita di un bambino che insegue i suoi sogni, ma di uno che si sta aggrappando a quell’aquilone per volare via da una condizione non idilliaca come spesso accade nei film “dal vero” (cit. espressione “rubata” gentilmente  al grande Bruno Bozzetto). Il film gioca su questo equivoco con grande destrezza, perché se da un lato non siamo di fronte a una pellicola d’animazione, dall’altro lato l’aspetto surreale del genere riesce a garantire un tocco delicato e in alcuni punti fiabesco. I personaggi sono tutti caratterizzati alla perfezione. Ognuno all’interno della storia trasmette il disagio, i problemi e i traumi ricevuti sin da piccoli, rappresentati da alcuni automatismi più volte sottolineati nel film, dalla piccola che continuamente, al sentire una macchina parcheggiare, corre verso la porta a vedere se è tornata sua madre, o al ragazzino che in ogni occasione rovescia dell’acqua addosso al poliziotto perché detesta chiaramente gli sbirri, che, secondo lui, sono colpevoli di aver messo in galera il padre.

Lo stop motion, altro elemento caratterizzante dell’opera, rappresenta uno mezzo espressivo a due facce. In primis aumenta la drammatizzazione della scena, in parte per ricreare delle movenze automatizzate e accentuare gli aspetti negativi dei ragazzini colpiti dal loro destino (colpisce soprattutto il tremolio della mano di una ragazzina in mensa, a evidenziare il passato turbolento del personaggio), ma allo stesso tempo è capace di incidere maggiormente nel creare dolcezza e leggerezza nella parte più commovente e allegra della storia. Si ride per i paradossi dei suoi interpreti, si riflette sulla loro situazione, ma alla fine ci si commuove per la capacità del film di trasmettere speranza, che è l’unica cosa a tenere in piedi le loro vite e quelle delle persone che li assistono e li assecondano. La mia vita da zucchina è un ibrido sia nel contenuto che nella forma, a sottolineare come anche l’animazione è in grado di dare ampio respiro alla realtà quotidiana.

 

Voto: 4 su 5

Il trailer

 

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