Recensione: T2 Trainspotting

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Genere: Dramamtico

Regia:  Danny Boyle

Cast: Ewan McGregor, Ewen Bremner, Jonny Lee Miller, Robert Carlyle, Simon Weir

Durata: 118 min.

Distribuzione: Warner Bros.

 

 

 

20 anni. Ne passa di tempo, soprattutto dopo una vita passata a sniffare cocaina e a iniettarsi ogni tipo di droga sul mercato. Chissà cosa staranno facendo i ragazzi protagonisti del primo episodio di Trainspotting, un film che ha segnato letteralmente gli anni ’90 non solo dal punto di vista cinematografico. In realtà nulla di eccezionale. A parte Spud, che è ricaduto nell’eroina (“l’unica vera amica”), gli altri trascorrono le loro vite lontane dalla frenesia e dalla follia della giovinezza. Renton, dopo essere scappato da Edimburgo con i 16 mila dollari rubati ai suoi compagni, decide che è ora di tornare a casa, nella sua “amata” Scozia, a regolare i conti verso i propri amici, che certamente non lo “amano” altrettanto, soprattutto in seguito al tradimento subìto. Bergbie è quello che sta peggio, visto che è l’unico a stare al fresco in galera. Sick Boy, invece, gestisce il vecchio pub di famiglia che non sta avendo il successo sperato, vista la mancata riqualificazione del quartiere. L’unica soluzione per racimolare un po’ di denaro è aprire un bord…, scusate una sauna, e per farlo ha bisogno proprio di Renton, l’amico che lo ha tradito ma con il quale ha condiviso gran parte dell’infanzia.

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La reazione alla visione di T2 Trainspotting è una sola: delusione. Attenzione, la parola può essere equivocata, ed è giusto così, perché questo film non passerà alla storia per superare il suo predecessore. Il termine può essere frainteso perché le reazioni possono essere molteplici. C’è chi, al termine della visione, proverà rabbia, incredulità, magari accusando lo stesso Danny Boyle di aver rovinato un cult come la pellicola del 1996 perché con questo film si è radicalmente perso la dinamicità e la passione. È condivisibile questa opinione, se in testa ci si aspetta di guardare un sequel dove i ragazzi made in Scotland tornano a fare quello che l’immaginario comune si aspetta da loro, che è per l’appunto drogarsi o compiere qualcosa di illecito. In parte questo accade, visto che questo lavoro è ispirato parzialmente al secondo capitolo di Irvine Welsh Porno, che racconta proprio la vita dei protagonisti di Trainspotting e la scelta dei personaggi di intraprendere il business della pornografia 10 anni dopo le loro prime avventure.

C’è chi, invece, apprezzerà questa versione, perché il regista, come nel caso precedente, non segue in maniera fedele il racconto dello scrittore scozzese. Già nel primo film le differenze sono notevoli: nel lungometraggio le vicende sono certamente mostrate come nel libro, ma non con una chiave pessimistica e nichilista del libro, dove i personaggi, sotto l’effetto dell’eroina, vengono rappresentati come giovani privi di ogni regola e per nulla tutelati. La miseria e la desolazione sociale descritta da Welsh nel film assume una carica opposta, perché i protagonisti sono ricordati positivamente per le loro gesta, perché, grazie allo stile dinamico del regista mischiato con la colonna sonora dei più grandi artisti dell’epoca, ci piace vedere Spud, Renton, Sick Boy e Bergbie picchiare, drogarsi e fare sesso senza fermarsi mai. Tuttavia Boyle con questo film sta dicendo che quei bei tempi sono andati (almeno per loro). Lo slogan “scegli la vita”, che appariva negli slogan per la lotta all’AIDS e che gli stessi interpreti prendevano in giro nel prequel come nel libro, ha perso significato, perché non appartiene a quest’epoca, come gli stessi soprannomi che si sono rifilati quando erano fatti di chissà quale dose. I protagonisti devono fare i conti con la nostalgia, ma soprattutto con il rimpianto del loro passato. Qui sta il colpo basso (positivo o negativo a seconda dei punti di vista) di Boyle al pubblico e ai suoi personaggi, perché con T2 Trainspotting ha voluto portare i soggetti con i piedi per terra, guardando indietro alle loro vite e alle loro scelte senza una sorta di esaltazione delle loro azioni. Il film continuerà a dividere, ma questo lavoro è sicuramente un modo affettuoso (e, bisogna ammetterlo, inaspettato) per concludere in maniera malinconica il cerchio iniziato tanti anni fa.

 

Voto: 3 su 5

Il trailer

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