Recensione: The Last Princess

Genere: Storico

Regia: Jin-ho Hur

Cast: Sang-hun Jeong, Hae-il Park, Mi-ran Ra, Ye-Jin Son

Durata: 127 min.
 

 

 

 

 

 

Deokhye. La principessa dimenticata. Lei è stata l’ultima erede al trono della Corea del Sud, in un periodo in cui la guerra era oramai alle porte, e dove il Giappone sanguinario governava incontrastato nell’area orientale con l’appoggio della Germania Nazista e (non dimentichiamoci) dell’Italia Fascista. In un’epoca, quella odierna, in cui ci si dimentica spesso cos’è successo (o forse si finge, dipende dal punto di vista), e si cerca in particolare di modificare il flusso storico del nostro tempo, è doveroso ricordare, pensare a chi ha sofferto e chi, invece, è stato in prima linea a recare dolori e tormenti a persone che con la guerra non volevano avere a che fare. Con il cinema, grazie a film biografici a sfondo storico, è possibile quindi un piccolo ripasso, in vista dell’esame che riguarda invece il presente e le sue problematicità. In più, se si considera il fatto che un film racconti di eventi lontani, mai conosciuti e che non hanno rappresentato il contesto politico occidentale, allora il valore è raddoppiato, perchè in questo modo la cultura si arricchisce di nuovi dettagli.

È il caso di The Last Princess, “l’ultima imperatrice” coreana diretto da Hur Jin-Ho. Un film che, come il classico gioco del domino, unisce i vari estremi delle tessere della nostra storia raccontando sia il microcosmo della vita della principessa, sia il macrocosmo della sottomissione della Corea Del Sud al Giappone, nel periodo di massima prosperità e di potere. Deokhye viene portata via all’età di 13 anni dal suo paese d’origine, dopo la grave perdita del padre. Ma non ha mai smesso di lottare pere tornare a casa, dal suo popolo che vedeva in lei un simbolo di forza di fronte all’egemonia nipponica che non sembrava arrestarsi. Si rifiuta di mettere il kimono, un segno che non viene visto di buon occhio dalla popolazione occupante, ma che dalla gente coreana veniva vista come una sfida politica e culturale non indifferente. Poche erano infatti le occasioni nelle quali si presentava in pubblico, e, fino al momento in cui è stata costretta a seguire l’establishment nipponico in Giappone, ha sempre mantenuta viva la speranza della popolazione locale, con ogni gesto.

Con il tempo, a contatto con la cultura giapponese, la donna viene piano piano abbandonata nei pensieri dei coreani, ma al contrario lei non demorde e partecipa, assieme a Jang-Han, a un movimento indipendentista che cerca, con tutti i mezzi, di mettere fine al governo giapponese, dopo che la Corea è diventata una semplice colonia perdendo così ogni diritto. Lei combatte, con la parola (come accade davanti ai propri connazionali sfruttati nel lavoro), e con i fatti, essendo tra gli organizzatori di diversi attentati contro i principali responsabili delle loro condizioni attuali. Il film funziona, ricordando nelle inquadrature, nelle sequenze e (soprattutto) nella struttura narrativa il film di Bernardo Bertolucci. Da una prima parte fortemente orientata sugli usi e costumi reali dell’epoca, si passa nella fase centrale in cui l’invasore esce allo scoperto mettendo fine all’equilibrio preesistente. Da qui la forte presa di coscienza della protagonista, interpretata con determinazione e bravura da Son Ye-jin, capace di trasmettere vitalità e forza al suo personaggio, tanto da essere uno degli elementi determinanti della riuscita del film assieme al coprotagonista Hae-il Park. Fastidioso l’antagonista della pellicola Han Taek-soo, divenuto solamente una macchietta stereotipata e priva di personalità, quando bastava un personaggio che caratterizzava la sete di potere e l’ambizione di stare con il più forte. Nonostante ciò, The Last Princess ricostruisce al meglio la storia di una regnante che ha subìto gravi ingiustizie, e allo stesso tempo di una donna abbandonata e lasciata al proprio destino.  

Voto: 3 su 5

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